18/11/11

Leggo Mari, vedo mio nonno

«Del servizio militare presi meno vaga coscienza per certe nuove che arrivavano da mio zio Elio, milite proprio in quel tempo a Palermo (ricordo una sua fotografia in calzoncini corti e rapato, con il mitra, tra i cactus e i fichi d'India).»





















(Testo: Michele Mari, Filologia dell'anfibio - Foto: Mio nonno Paolo, Libia 1937)

26/10/11

Mitocondrìa


Sono così figa che mi tocca fare da testimone agli incidenti di quelli che si voltano a guardarmi.
Sono così figa che tutte le canzoni parlano di me. Anche quelle strumentali.
Sono così figa che posso mettermi quello che voglio. I vestiti non me li sceglie più mia mamma.
Sono così figa che le scarpe col tacco portano me.
Sono così figa che una volta al Louvre la Gioconda mi ha seguita con lo sguardo.
Sono così figa che non dimostro nemmeno la mia età. Siete voi a dovermi dimostrare qualcosa.
Sono così figa che se leggo un libro, Philip Roth scrive sulla fascetta Lo sta leggendo Sara!
Sono così figa che sul mio citofono c'è scritto Like.

19/10/11

Le chat écrasé


Qualche giorno fa, a pranzo con un mio ex, abbiamo parlato di quando lui di mestiere faceva la donna in una chat erotica. Pare fosse anche molto richiesto. Richiesta. Non so come accordarlo. Era più o meno l'anno 2000, queste cose andavano ancora alla grande e infatti c'era gente che ci manteneva la famiglia. 
Prima ancora, nel periodo in cui ci si doveva accontentare del telefono, anche a me era capitato di fare la donna nelle chat. Non erotiche però, ci si fermava ai preliminari. Il fegato di propormi volontaria per simulare orgasmi al telefono non l'ho mai avuto. Non per altro, non avevo ben chiaro come potesse essere strutturato l'ambiente di lavoro, quindi mi immaginavo cubicoli insonorizzati male in cui tutto l'open space avesse accesso ai tuoi mugolii e reiterati monosillabi affermativi. 
La soluzione di Altman per esempio non mi era venuta in mente.
A pensarci bene, il mio timore era anche un altro. E se mi avesse chiamato qualcuno che conoscevo? Hai voglia a fare la spunta di amici e parenti cercando di decidere chi sì e chi no, non lo puoi mai sapere.
Se non fosse completamente anacronistico, ci sarebbe da scrivere il soggetto di un film, ci sarebbe. Ma anche un corto (io sono per la sintesi). Una ragazza in affanno economico inizia a lavorare come telefonista erotica, finché un giorno le capita di riconoscere la voce che le chiede cose immonde dall'altra parte della linea. Suo padre.

17/10/11

Il ritorno dei morti incidenti


Una cosa che prima o poi farò è fotografare tutti i luoghi dove a seguito di un incidente mortale sono stati lasciati fiori attaccati ai pali, fotografie nelle buste di plastica e spesso veri e propri monumenti funebri. Il perché non l'abbia ancora fatto è che di solito ci passo in motorino e, fermandomi a fotografare, il rischio di un autoarticolato in culo non è remoto. Dopotutto, se lì già è avvenuto un incidente mortale, un motivo ci sarà.
A me piacciono i cimiteri, gli arredi cimiteriali in genere. I fiori appassiti, i lumini, il marmo, le foto che uno non mostrerebbe agli amici più intimi, prese dalla patente, ingrandite e messe lì a imperitura vergogna (la mia ansia da controllo non può convivere con questo pensiero, come si fa a riposare in pace col dubbio che i tuoi parenti più stretti non abbiano il minimo senso estetico?).
A cosa servano poi queste installazioni un po' pop, è spesso oggetto delle mie riflessioni pendolari.
C'è quest'idea che le morti violente, o improvvise, o improvvise e violente (può forse una morte violenta non avvenire all'improvviso? Non è detto però che una morte improvvisa sia per forza violenta) lascino l'anima del malcapitato vagare nuda e un po' smarrita nelle zone limitrofe. E così l'anima va un po' ingannata. Stattene qui buono, caro il mio estinto, ché ti ho messo i fiori, il lumino di padrepio, la lapide col tuo nome e la foto tessera, è qui che devi stare, capito?
Altrimenti tutti 'sti morti cercano di tornare a casa. Lentamente, barcollando, ma rischi che prima o poi ci arrivino. Le suppellettili in strada servono dunque a questo, sono una simulazione di cimitero per anime smarrite. Un cemetereality show.
Correndo quotidianamente anch'io il rischio di ingrossare lo schieramento delle anime perse per strada, coglierei l'occasione per fare qui di seguito alcune richieste:
A) No foto. A meno che non ne troviate in giro una specificamente contrassegnata con la scritta di mio pugno "foto per lapide".
B) No offerte votive. Non state a impestare il marciapiede. Basta che asportiate l'iPhone col navigatore dal luogo dell'incidente e avrete già evitato che io ritrovi la strada del ritorno. Al massimo mi fermo a infastidire qualcun altro.
C) Se proprio proprio non potete farne a meno, meglio qualcosa di sobrio, magari anche didattico, tipo una bella croce. E un numero. "Più uno".

11/10/11

Sprechiera

Io spreco

Metto i soldi nei juke-box spenti,
nei distributori vuoti di alimenti,
nei telefoni fuori servizio

Spreco

Ai piccioni do da mangiar
le noccioline dei frigobar
degli hotel a cinque stelle

Io spreco

Metto un euro nel carrello dell'Auchan
e lo lascio lì, nel parcheggio, senza catena
Senza nemmeno fare la spesa

Sono un liberatore di carrelli
Mi sembra normale, mi piace sprecare

Anche Gesù aveva le mani bucate



(se vi sembra di averla già letta, probabilmente è stato qua)

10/10/11

Leggo Mari, vedo Ghirri

















Tu non ricordi
ma in un tempo
così lontano che non sembra stato
ci siamo dondolati
su un’altalena sola.

Che non finisse mai quel dondolio
fu l’unica preghiera in senso stretto
che in tutta la mia vita
io abbia levato al cielo.

(Michele Mari - Cento poesie d'amore a Ladyhawke)
foto: Luigi Ghirri

09/10/11

La banda del bruco

Ma non solo quello (il brucomela, dico), le giostrine in generale, quelle che girano, sono in mano a una qualche mafia. Siatene certi, non potete pensare di acquistare un solo biglietto e sperare che in quell'unico giro vostro figlio prenda il codino. Devono essere minimo 4, o quanti decidono di darvene per 5 euro. Fateci caso la prossima volta. 

06/08/11

Pics-el

(Una riflessione con colonna sonora)

Pictures of You - The Cure

Mi stavo chiedendo quale futuro hanno nell'era smartphonica-digitale i testi delle canzoni a contenuto fotografico. Sì perché oramai alcuni versi sono totalmente anacronistici, se pensiamo che le foto non hanno più lo stesso valore nell'era della loro riproducibilità tecnica.

Oggi non avrebbe nessun senso affermare cose tipo "ho aperto un cassetto che non ricordavo di avere e dentro ci ho trovato le foto della nostra prima vacanza". Non per le generazioni successive alla mia, sicuramente.

"I've been looking so long at these pictures of you / That I almost believe that they're real"

Per forza, erano in bassa risoluzione. Non solo. Chissà se l'azzurro scalzo di Baglioni resterebbe tale, una volta convertito in rgb.

Insomma, se volessimo scrivere una canzone, nel 2011, parlando di fotografie, cosa potremmo dire? "Ho aperto Flickr dopo tanto tempo e c'era quella foto di te, nei miei preferiti, aggrappata alla ringhiera di una tenera e distratta primavera?" (tag: #ringhiera #primavera)

Quando poi, come minimo, quella foto sta pure su quattro diversi social network e c'è Facebook che ce la ricorda ogni maledetta volta che qualcuno ci mette un like?

Per non parlare dei gesti plateali, legati alle foto stampate su carta e perduti per sempre.

"Yo romperé tus fotos"

Ma quando mai? Chi di noi, se pur al culmine del pathos, si stamperebbe una foto per il semplice gusto di farla a pezzi?

Per non parlare di "Yo quemaré tus cartas". Non ci voglio nemmeno pensare a stampare una mail allo scopo catartico di darle fuoco in un posacenere il giorno di San Valentino, non raccontiamocela.

Tutte emozioni perdute, grazie alla tecnologia. Pensiamo alla soddisfazione di sbattere giù la cornetta del telefono. Fi-ni-ta.

Solo una mia amica, quella che scagliava cellulari contro il muro, può dire di non avere rimpianti. Noi abbiamo sicuramente perso qualcosa.

"Could you take my picture 'cause I won't remember."


09/05/11

Ditemelo coi fiori (che sono una stronza)

Penso che siano poche le donne che nella vita hanno ricevuto meno mazzi di fiori di me. Non è un lamento, sto solo constatando.
Qualcosina per avere sgravato (e ci mancherebbe, lì mi aspettavo un Oscar), zero per essermi sposata (ho dovuto ramazzare uno dei centrotavola del pranzo, come l'ultima delle prozie, e mi ero pure fatta regalare preventivamente dei vasi perché 'a casa della sposa arrivano sempre un sacco di fiori').
Insomma, quelli che mi ricordo di aver ricevuto sono solo due, da persone diverse e a distanza di parecchi anni uno dall'altro, e me li ricordo bene in quanto portatori di espliciti messaggi non scritti.
Il primo diceva chiaramente: Grazie per esserti levata tu dai coglioni, perché io non avrei saputo come chiedertelo.
L'altro, un po' più timidamente, recitava: Scusa se mi hai trovato brutto.

25/04/11

La Sai Baba?

Ve l'ho mai raccontato (sì, direte voi, un milione di volte, ma la mia è una domanda retorica) di quando facevo la cameriera in un bar che ora pur essendo rimasto uguale non è più lo stesso, il Movida, e sono stata apostrofata da un ragazzetto al tavolo con un amico e due fanciulle, per sentirmi rivolgere la domanda Tu lo sai chi è Sai Baba?
, gli ho risposto. Al che il tizio si affretta a voltarmi le spalle per dire agli amici Visto? Lo sa anche lei.




21/03/11

Cento ne penso (ne facessi una)

Tanto tempo fa (aaaanni) avevo pensato di fare questa cosa: andare in giro con una maglietta su cui era stampato un certo indirizzo email e vedere in quanti (e cosa) mi avrebbero scritto. C'era stato anche tutto uno studio sull'indirizzo più corretto, cioè quello che da solo fosse già un invito a scrivere, e ne era venuta fuori una cosa tipo write-me@email.it. La grafica per le magliette era pronta. Poi, come tutte le cose che mi vengono in mente e mi piacerebbe realizzare, anche questa è stata risucchiata dal triangolo delle bermude di qualche hard disk ormai in disuso. Peccato, volevo farne un libro, una mostra, un ...